Il batterista statunitense Dan Weiss (4 marzo 1977) è attualmente uno dei musicisti emergenti più promettenti del panorama del nuovo jazz. Dopo aver collaborato con alcuni dei più quotati jazzisti contemporanei (quali Rudresh Mahanthappa, David Binney e Rez Abbasi), Weiss si è fatto notare dalla critica specializzata per il suo approccio batteristico innovativo, dovuto ai suoi studi decennali della tabla e della musica classica indiana con il virtuoso Pandit Samir Chatterjee, dissezionato ampiamente in lavori come ‘Tintal Drumset Solo’ e ‘Jhaptal Drumset Solo’ (dove, accompagnato solamente dal chitarrista Miles Okazaki, proponeva materiale per tabla riarrangiato sulla batteria, rovesciando il ruolo melodico e ritmico di chitarra e percussioni) e quindi integrato in uno stile più vicino al post bop su ‘Now Yes When’ e ‘Timshel’, affiancato questa volta da Jacob Sack al piano e Thomas Morgan al basso. (Continua a leggere)
Abbandonando il formato piano trio (con il quale aveva registrato alcuni dei dischi più belli del jazz del nuovo millennio, ovvero ‘Historicity’ e ‘Accelerando‘), Vijay Iyer si reinventa compositore d’avanguardia per il suo debutto da leader per la ECM, intitolato ‘Mutations’ e pubblicato il 4 Marzo 2014.
Le differenze con gli ultimi lavori pubblicati per la ACT Music sono evidenti: Iyer rifiuta infatti la strumentazione ritmica classica (né basso né batteria sono presenti per tutta l’ora di durata del disco), circondandosi invece di un quartetto d’archi di evidente formazione accademica (due violini – Miranda Cuckson e Michi Wiancko; una viola – Kyle Armbrust; un violoncello – Kivie Cahn-Lipman) e instillando nelle sonorità acustiche del quintetto frammenti subliminali di musica elettronica, ricercando una dimensione cameristica della musica di Iyer. (Continua a leggere)
Con un ensemble di sette elementi provvisto di chitarra (Luke Bergman, fondatore del complesso), sassofono tenore (Neil Welch), “chango” (ovvero uno strumento analogico, suonato e inventato da Brandon Lucia) e ben quattro batterie (Chris Icasiano, Evan Woodle, Kristian Garrard e Thomas Campbell), i King Tears Bat Trip rappresentano una delle novità più sconcertanti e al contempo interessanti di tutto il 2012.
Attivi già da qualche tempo nell’ambiente underground di Seattle, il settetto ha esordito solo quest’anno con il proprio debutto eponimo (in realtà registrato “in unedited, live studio takes” risalenti al 16 e al 18 aprile 2011), pubblicato prima in formato digitale tramite la Table & Chairs a marzo e stampato finalmente in vinile dalla Debacle a novembre, facendo istantaneamente urlare al miracolo gli amanti delle sonorità più eversive del jazz e del rock. Per quanto infatti la musica dei King Tears Bat Trip conservi un profondo legame con gli stilemi free jazz (come dimostrato soprattutto dal ruolo di protagonista giocato dal sassofono di Welch – di stampo inconfondibilmente ayleriano -, nonché dal formato free-form delle composizioni dell’album, basate fortemente sull’improvvisazione dei musicisti), il lavoro del complesso valica le frontiere del genere grazie a un lavoro ritmico e rumoristico che riporta alla mente alcuni degli esperimenti più selvaggi nell’ambito rock: le ritmiche afro delle percussioni, dotate di un sapore tribale e quasi sciamanico, evocano lo spettro del Pop Group, mentre le dissonanze della chitarra e del chango portano alla luce un’eredità noise che va dai Boredoms agli Shit & Shine. (Continua a leggere)